Pubblichiamo per una preziosa riflessione la relazione tenuta da padre Gustavo De Bonis, Consigliere generale dei Servi della Carità, all’Incontro di Solidarietà di Carità senza Confini, domenica 8 giugno u.s. presso il Cinema Concordia di Borgo Maggiore (RSM).
Sono figlio di San Luigi Guanella e vorrei darvi qualche cenno non biografico del mio fondatore, il quale si impegnò a dare il suor cuore a Dio e ai poveri. Don Guanella in tutta la sua vita è stato un uomo che ogni giorno si è messo in viaggio verso gli altri, ben consapevole della lunghezza e delle difficoltà del cammino. Per Don Guanella i poveri erano una manifestazione concreta di Gesù Cristo. La sua spiritualità era profondamente radicata nel Vangelo, in particolare nelle parole di Gesù: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Questa convinzione lo guidava a vedere il volto di Cristo in ogni persona emarginata, abbandonata o bisognosa. Egli credeva che prendersi cura dei poveri significasse servire direttamente Dio. “La Provvidenza gli donò un cuore grande, a dimensioni di mondo, dolce ed impulsivo insieme, capace di essere ‘padre e madre’ per i deboli, organizzatore sveglio di programmi di soccorso; in questa maniera visse il vangelo della misericordia in modo eroico e i poveri trovarono in lui pane, tetto, lavoro, dignità, speranza e particolarmente paradiso”. Il programma della sua vita è stato quello di collaborare con Dio per rendere più ospitale la terra ai poveri e agli sventurati. Mentre sviluppava questo programma che la Provvidenza gli aveva indicato, lui stesso diventava sempre più uomo di comunione. Il povero diventava il suo maestro, a tal punto che alla fine era riuscito a trasformarlo in un “prete buono più del pane… Il suo passaggio sulla terra fu un dono continuo che moltiplicava ancora l’amore di Dio in mezzo agli uomini e tutta la sua vita fu dedicata alla carità, perché gli uomini si amassero dando gloria al Padre che sta nei cieli.3Una carità talmente forte che lo spingeva ad accogliere chiunque si ritrovasse rifiutato da tutti4.Don Guanella aveva sempre premure e attenzioni paterne verso chiunque incontrasse bisognoso o afflitto sul suo cammino.5Possedeva una conoscenza profonda delle persone, intuito sicuro delle loro capacità, del loro valore e della loro bontà;6 indovinava inoltre, i loro bisogni e le loro difficoltà7. Pur possedendo un carattere forte e deciso, si adattava volentieri anche alle debolezze delle persone, quando non si trattava di difetti da correggere.
Egli possedeva una carità capace di illuminare: le sue parole, se da un lato ridavano fiducia e serenità, 8dall’altro avevano la capacità di lasciare il seme dell’inquietudine col pensiero che non si può essere felici da soli. “Era testardo, anche se buono. Quando voleva qualcosa, non si arrendeva finché non l’aveva ottenuta…Era molto forte, non si stancava mai. Ha insegnato ad avere fede e ad amare gli altri, e che la cosa più importante era rispettare la dignità di un uomo. Una volta vennero a prenderlo due guardie per certi debiti. Gli chiesero: “Cosa accadrà?”. “Niente” rispose. “Non possono portarmi via niente, perché non ho niente. E non mi metteranno in prigione, sennò chi pensa ai miei ammalati?”. Un uomo capace di ricondurre l’incorporeo nel corporeo: ascoltare i battiti del proprio cuore, respirare l’odore della terra, del vento immenso, il profumo dei fiori delle sue montagne, ma capace soprattutto di vedere nell’uomo, il volto del Cristo. Ora partiamo da una pagina importante che resta nello sfondo costante della salvezza dell’umanità intera.
“Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna” (Mt Matteo 25,31-46).
Il brano splendido e unico è una sintesi della teologia di Matteo. Alla fine della nostra vita saremo giudicati in base a ciò che ci saremo fatti l’un l’altro. Non sapevamo che il bene operato e il male compiuto si riferivano ad una realtà invisibile superante l’atto stesso e che quella realtà altro non era che la persona di Gesù! Sì, perché ogni altro, è sempre l’Altro! Infatti, il primo comandamento è uguale al secondo, perché il Signore stesso si è fatto nostro prossimo ed è sempre con noi sotto il segno del Figlio dell’uomo: quello del Crocefisso, che ha il volto di tutti i poveri della terra. Nella prospettiva cristiana, il giudizio universale è il momento in cui ogni essere umano viene valutato per le sue azioni e la sua capacità di amare e servire Dio attraverso il prossimo. In questo senso, l’uomo diventa davvero l’unità di misura del giudizio: ciò che conta è come ha vissuto la sua umanità, il rispetto per gli altri e l’adesione ai valori del Vangelo. Tutto si mette a posto se si parte dall’uomo perché è lui il centro dell’universo in quanto creatura di Dio. Questo pensiero si lega profondamente anche alla pedagogia del nostro Fondatore, che vedeva nella dignità e nei bisogni dell’uomo il punto di partenza per ogni azione di carità e giustizia. Don Guanella riteneva che la società e il mondo avessero senso solo se si poneva l’essere umano, con le sue necessità e fragilità, come punto di riferimento. In un certo senso, ordinare il mondo significa restituire valore a ogni individuo, iniziando dal più vulnerabile, perché nel volto del povero si riflette quello di Cristo. Questo approccio non riguarda solo la carità materiale, ma anche la comprensione, l’amore e il rispetto per ogni persona. Tuttavia, è quel “quando mai Signore” che ci mette in crisi, che non ci lascia tranquilli perché non siamo riusciti a riconoscere Gesù nel povero. Perché ci sei sfuggito, Signore? Perché sei sempre sotto i vestiti di un perfetto sconosciuto? Eppure, è su questo, che alla fine dei nostri giorni, saremo giudicati. Questo è l’esame definitivo non solo della vera vita cristiana, ma di tutta l’umanità: abbiamo accolto l’estraneo, frequentato il prigioniero, dato l’ospitalità all’altro? (Mt. 25,35-36). […] Dietro tutto questo c’è qualcosa di più grande e sconcertante, ma di fondamentale per la fede cristiana ed è il principio dell’Incarnazione. “È partendo da Cristo che “l’altro” diventa mio prossimo. Da Cristo l’amore riceve la sua possibilità interiore e la sua direzione.” Così rispondeva Joseph Ratzinger al giornalista della “Settimana del clero” 1973. Il Vaticano II con chiarezza definisce che: “Solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo, […] Cristo che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione.” (GS n.22). “Ciò significa – commenta Giovanni Marchesi nei suoi lineamenti di Cristologia – che la discesa di Dio nell’umanità (=Incarnazione) è il fondamento e la garanzia dell’ascesa dell’uomo, in sé stesso e verso Dio, ossia la sua piena realizzazione storica e futura (salvezza escatologica)”. Il teologo spiega ancora che: “L’incarnazione del Verbo di Dio, verità originaria e fondamentale del dato cristiano, è il punto di partenza di ogni teologia cristiana. “Per il fatto che Dio si è fatto carne, lo stesso uomo – per sua natura essere storico dotato di ragione e di libertà ed essere di linguaggio – diventa “espressione valida e autentica traduzione del mistero divino”; e “volendo il Verbo di Dio raggiungere l’umanità tutta, che deriva dalla volontà creatrice di Dio, nulla di umano gli rimane estraneo”, ma tutto l’umano assunto dalla Persona del Verbo diventa, lo ripetiamo, espressione diretta e autentica del divino. Per questo si può anche affermare che “tutto ciò che Dio doveva dire o dare al mondo ha trovato spazio in questo uomo che è Gesù, il quale è la Parola che vive e agisce, parla e soffre nell’uomo che è diventato pur restando Dio”. Per questo motivo, sapremo essere buoni “operatori della misericordia” se anche “pellegrini di Dio nel cuore del povero,” di ogni pover’uomo.
Il giubileo chiede di metterci in cammino e di superare alcuni confini. Quando ci muoviamo, infatti, non cambiamo solamente un luogo, ma trasformiamo noi stessi per diventare capaci di cambiamento e per essere in grado di varcare ogni giorno la porta di ogni povero, che il Signore ci mette sul nostro cammino. Nel Documento Giubilare, tra i “luoghi” di pellegrinaggio il papa ci invita a varcare la porta della persona nel bisogno, del povero, di quanti sono in attesa di un gesto di carità. Le 14 porte delle opere di misericordia materiali e spirituali si aprono quando scorgiamo nel volto dei nostri fratelli, in particolare nei poveri, nei malati, nei carcerati, nei profughi, la carne viva del Cristo sofferente, l’immagine visibile del Dio invisibile.
➢ Come è possibile che Gesù si identifichi con ogni povero e che il suo volto diventi “porta d’indulgenza giubilare”? Una domanda a cui cercheremo di rispondere per aiutare a trasformarla in proposte pastorali, itinerari di fede, pellegrinaggi e percorsi di santità e di salute corporali e spirituali che non dovranno esaurirsi con la chiusura dell’anno giubilare, nel gennaio 2026, ma continuare nel tempo.
➢ Varcare la porta di una chiesa giubilare è facile; meno facile saper vedere il Volto di Gesù sotto il volto del povero. Questa è la sfida che vogliamo raccogliere dagli espliciti inviti di papa Francesco e preparare un “cammino della carità”. La porta santa che il Papa ha aperto la notte di Natale nella basilica Vaticana è il segno del varco salvifico aperto da Cristo con la sua incarnazione, morte e risurrezione, chiamando tutti a vivere da riconciliati con Dio e con il prossimo. Quest’ anno però il papa ha voluto che, nelle numerose novità proposte, ci fosse anche l’apertura di una Porta Santa in carcere. Infatti, il 26 dicembre 2024, giorno di Santo Stefano, Papa Francesco aprendo la Porta Santa nel carcere romano di Rebibbia, ha segnato un momento storico nel cammino dei Giubilei ordinari. Per questo motivo la comunità cristiana ha il dovere di seminare, coltivare, curare e inventarsi segni di speranza verso coloro che si trovano a vivere situazioni di disagio, povertà e abbandono. Questo compito così importante deve essere vissuto con l’accompagnamento di esperti che ne approfondiscano sia l’aspetto teologico che quello pastorale, per facilitare la riscoperta del Volto di Gesù sotto il volto del povero per cogliere il “Kairós di Salvezza”. Noi guanelliani dovremmo riuscire a trasmettere il peso della frase: “L’avete fatto a me”. Cosa vuol dire? Vuol dire che, quando siamo davanti all’altro è come se fossimo davanti a Dio. Significa che l’Eterno è entrato nel tempo attraverso il mistero dell’Incarnazione e che abbiamo il dovere di insegnare a cogliere le tracce dell’Eterno sotto ogni infermità. Troppo facile, molto comodo varcare una porta, recitare “quattro preghiere di rito”, anche farsi un selfie di ricordo. La fatica e la sfida è aprire la porta di casa del povero e “entrarvi”, “abitare” il luogo dove il povero vive; percepirlo nella “sacramentalità” del suo corpo, della sua persona. Uso il termine sacramentalità nel suo significato più leggero e meno impegnativo del termine, strettamente legato al significato liturgico- sacramentario. “Sacramentalità” come necessaria visione della vita del mondo, del creato che ogni cristiano deve avere, che non è altro che il vedere la realtà creata come un sacramento che è, a sua volta, una rivelazione della presenza di Dio.
SULLE ORME DI SAN LUIGI GUANELLA: “UOMO DI SPERANZA E… DI PARADISO… DI PANE E SIGNORE” PER RIMETTERE CRISTO AL CENTRO
Seguiamo le orme di don Guanella, che ci indica la strada, la compagnia, il nutrimento per dare forza al nostro cammino, la mèta. Poche cose, ma essenziali per il cammino di fede e che non siano d’intralcio al suo procedere, perché il passo possa essere sicuro nel raggiungere la meta.
La strada
Don Guanella esprime nella formula paradigmatica, Pane e Signore, il senso di come dev’essere intesa per noi guanelliani, la carità verso il prossimo. Riporto qui le sue parole: “Si consideri la fragilità umana e la carità divina. Vi è il pane della carità corporale e quello della carità spirituale”. Binomio inscindibile “Pane e Signore” perché all’uomo occorre un pane per il corpo e uno per lo spirito. “Pane e Signore” per indicare le due dimensioni su cui si dispongono i valori fondamentali dell’autentica crescita personale. «Pane»: sta per tutto ciò che è necessario per sostenere l’espansione della persona sotto il profilo fisico, psichico, morale, sociale, culturale, politico… «Signore»: sintetizza la crescita misteriosa della vita di grazia come nuova creatura nello Spirito di Gesù Cristo.
In compagnia dei piccoli, degli ultimi, dei deboli
“Mi sono fatto debole con i deboli per guadagnare i deboli, mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro” (1 Cor. 9,22). “Viviamo in compagnia dei poveri come educatori alla fede, perché insieme a loro possano incontriamo Cristo e fare esperienza della sua salvezza” (art.71 delle Costituzioni).
La meta
Il traguardo è il paradiso! Accompagnati dal Vangelo della misericordia portiamo al povero i doni di Gesù, con la ricchezza umana e le inebrianti novità della Sua Rivelazione e della sua Grazia. Il Vangelo mostra come Cristo guariva i corpi per sanare le anime, ridonava la salute al corpo perché si comprendesse quanto fosse necessaria quella dell’anima.
Mi piace chiudere questa riflessione con il numero 80 delle nostre Costituzioni e il suo relativo commento:
“Tutto il mondo è patria vostra, ci dice il Fondatore, e i vostri confini sono i confini del mondo. Obbedite alle vie della Provvidenza affidandovi ad essa e affrettatevi, perché avete una missione troppo grande da compiere. Nella vigna del Signore lavorate tutti di gusto; lavorate e pregate, portando sempre il bene della fede e della carità, senza temere il mondo: Gesù è con voi, e vostra Madre, la Madonna Santa, vi conduce. E voi, buoni Servi della Carità, che per anni e ogni giorno avrete soccorso con fede i poveri, possederete il Regno che il Signore nella sua bontà vi ha preparato fin dalla creazione del mondo”.
La carità senza confini di don Guanella nutre la speranza del povero che Dio si cura di lui… ogni giorno! Nel futuro tutto è possibile perché tutto è incerto; tuttavia, la speranza può avere fondamento solo in una Grande Speranza, cioè, credere in una Provvidenza divina che garantisce all’uomo la capacità di sorridere ogni giorno alla vita. Vita che si costruisce sulla possibilità di azione del futuro, che riapre ogni orizzonte nonostante le sue incertezze esistenziali, solo perché nutrita dalla speranza che suscita 14 Massime di spirito 1888-89, Scritti, vol. IV, p. 41 6 gioia, slancio e calore. La speranza è dono, è Grazia, è il frutto più bello della carità, e noi nutriamo speranza perché siamo certi che Dio si cura di noi.
Conclusione
Ballate come se nessuno vi guardasse
Per tanto tempo ho avuto la sensazione che la vita sarebbe presto cominciata, la vera vita! Ma c’erano sempre ostacoli da superare, strada facendo qualcosa di irrisolto, un affare che richiedeva ancora tempo, dei debiti che non erano stati ancora regolati, in seguito la vita sarebbe cominciata. Finalmente ho capito che questi ostacoli erano la mia vita. Questo modo di percepire le cose mi ha aiutato a capire che non c’è un mezzo per essere felici, ma che la felicità è un mezzo. Di conseguenza, gustate ogni istante della vostra vita, e gustatelo ancora di più perché lo potete dividere con una persona cara, una persona molto cara per passare insieme dei momenti preziosi della vita, e ricordatevi che il tempo non aspetta nessuno. E allora smettete di pensare di finire la scuola, di tornare a scuola, di perdere 5 chili, di prendere 5 chili, di avere dei figli, di vederli andare via di casa. Smettete di aspettare di cominciare a lavorare, di andare in pensione, di sposarvi, di divorziare. Smettete di aspettare il venerdì sera, la domenica mattina, di avere una nuova macchina o una casa nuova. Smettete di aspettare la primavera, l’estate, l’autunno o l’inverno. Smettete di aspettare di lasciare questa vita, di rinascere nuovamente, e decidete che non c’è momento migliore per essere felici che il momento presente. La felicità e le gioie della vita non sono delle mete, ma un viaggio. Lavorate come se non aveste bisogno di soldi. Amate come se non doveste mai soffrire. Ballate come se nessuno vi guardasse. (Alfred Souza) Buon proseguimento in quest’anno giubilare servendo i poveri!!!
A cura di padre Gustavo De Bonis, S.D.C.
Via della Capannaccia 2, 47890 Città di San Marino Colombaia, San Marino




