(da registrazione)
Es 12,1-8.11-14
Sal 115
1Cor 11,23-26
Gv 13,1-15
Questa è la notte in cui inizia per noi il momento della grande contemplazione del Mistero della Pasqua. È la notte in cui Gesù è tradito. Il Vangelo ci indica il sentimento che abita il cuore di Giuda. Qualcuno tradirà Gesù, lo consegnerà ad un supplizio di morte, una morte incomprensibile, che raccoglie nel segno della crocifissione le tante incomprensioni e morti cui assistiamo da sempre nel corso della storia e ancora di più oggi. Una morte incomprensibile, situazioni di morte incomprensibili. Gesù, in questa notte, prima di consegnarsi e di essere tradito con il supplizio della croce, fa il primo passo, si consegna lui stesso ai suoi. Attraverso i gesti che compie nell’Ultima Cena, all’interno del Cenacolo, Lui prende la sua persona, il mistero della sua vita, prende in mano il mandato del Padre e, per compiere la sua volontà, si consegna ai suoi discepoli, perché anche noi possiamo partecipare a questo grande mistero, attingendo pienezza di carità e di vita. Il senso della sua consegna, il senso del tradimento, il senso del mistero pasquale che oggi celebriamo ha questa pienezza di carità e di vita. «Io sono venuto perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza» (Gv 10,10), dice Gesù. Ma dice anche «Io sono venuto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11), nella misura in cui «vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi» (Gv 15,12). Questa consegna di Gesù non è l’unica. L’abbiamo ascoltato nella Seconda Lettura, quella di Paolo ai Corinzi, e ancora di più nella pagina del Vangelo di Giovanni. Gesù si consegna nel segno del pane spezzato e del calice della Nuova Alleanza, che sono i segni della Pasqua. Che cos’è la Pasqua? È il passaggio di Dio, l’irruzione di Dio, nella storia dell’uomo, che lo libera dalla schiavitù della morte, proprio come in quella notte, notte di sterminio prima dell’esodo, come abbiamo ascoltato nella Prima Lettura: «In quella notte io passerò nella terra d’Egitto e colpirò ogni primogenito… Il sangue sulle vostre case servirà da segno in vostro favore… Lo vedrò e passerò oltre. Non vi sarà tra voi flagello di sterminio» (Es 12,12-13). Dio passa e va oltre, oltre i segnali, oltre gli unti – ho detto stamattina nella Messa crismale – cioè i cristiani, i consacrati mediante il Battesimo. Dio li risparmia dalla morte.
C’è un secondo segno a cui Gesù affida la sua persona, quello della lavanda dei piedi. È il segno del servizio dell’amore, con cui si abbassa fino ai piedi, spogliandosi di tutto per ridare dignità ad ogni creatura. Noi siamo abituati ad una logica diversa, a fare i servi dei potenti, pensando che le nostre risultanze future dipendano dal loro volere. Ma Gesù dice: «La pienezza della vostra vita dipende dal mio abbassarmi, dal mio spogliarmi, dal mio mettermi al vostro servizio». Forse è questa la delusione di Giuda. Giuda aveva caricato Gesù di tantissime aspettative. Come tanti fratelli, si aspettava che Gesù facesse giustizia in maniera potente, sbarazzandosi dei potenti e di coloro che violavano quegli schemi… Forse quella rabbia, quella delusione, quel tradimento delle aspettative di Giuda hanno fatto perdere la testa a Giuda, al punto tale da fargli dire: «Non mi fido più di te, mi hai tradito e io ti consegno».
L’amore di Dio, che «amò i suoi fino alla fine» (Gv 13,1), non conobbe limiti, ma oltrepassò ogni confine, quelli che le tradizioni e le usanze spesso imponevano, persino l’incomprensione di Pietro, il quale gli disse: «Tu non mi laverai i piedi in eterno» (Gv 13,8). Vediamo che anche Pietro si blocca di fronte al Maestro e Signore, si blocca nelle sue logiche, si incastra nei suoi ragionamenti. Anche noi ci blocchiamo e ci paralizziamo nelle nostre relazioni con Dio a modo nostro, riducendo Dio al mio Dio, che non è quello di Gesù Cristo, non è il Dio della vita, è il Dio che abbiamo immaginato e costruito noi.
È sconcertante l’agire del Maestro e Signore che, alzandosi da tavola, depone le vesti, cinge un asciugatoio ai suoi fianchi, comincia a lavare i piedi dei suoi discepoli versando acqua nel catino. Con questo gesto Gesù traccia la strada della salvezza, della nostra salvezza, e costringe noi cristiani a fare altrettanto, “sine glossa”, come direbbe san Francesco, senza interpretare: come ha fatto Gesù, così dobbiamo fare noi. O si accetta questa logica o si è fuori dalla logica dell’amore. Il mistero incomprensibile della croce è stato illuminato e spiegato con eloquenza dal gesto liturgico e pastorale più forte, più valoroso, più bello che la storia e la predicazione di Gesù ci consegni, una vera lezione di teologia e di pastorale, una vera catechesi: «Vi ho dato l’esempio, perché anche voi facciate come ho fatto io a voi» (Gv 13,15). Sta in questo la cifra interpretativa di come si trasmette la fede: dando l’esempio. La fede, che è il dono della vita e della speranza, non si trasmette con le emozioni. Lo studio, l’approfondimento, che promuove la conoscenza, serve semplicemente per assumere una vita che diventa esempio. «Oggi abbiamo bisogno – diceva Paolo VI – non di maestri ma di testimoni». Non ci sono scusanti giustificazioni per evadere questo indicativo, soprattutto oggi, dove è quasi scontato promuovere logiche totalmente opposte a quelle del Cenacolo, dove ti insegnano – a scuola, nel campo di calcio, nelle attività quotidiane – che, per essere qualcuno, gli altri li devi mettere sotto i piedi, perché tu possa emergere, dove l’idolatria di sé sconfina nell’assurdità dello scarto dell’insignificante, del nulla tenente, del povero senza casa, dell’indesiderato, del mendicante di affetto, del fratello e delle sorelle troppo lontani dai tuoi modi di essere e di pensare. Non ci sono attenuanti per noi cristiani per dire: «Ma io cosa posso fare di fronte alle guerre che imperversano, di fronte agli sguardi spenti dei giovani senza prospettive, derubati della speranza a causa dei nostri volti tristi e di famiglie sempre più fragili e provvisorie, che non profumano più di promesse eterne, ma che sono sempre più ridotte a “finché mi conviene”, “finché va tutto bene”, di fronte alle nostre parrocchie sempre più deserte, spopolate, in cui i viandanti non trovano discepoli esperti nel lavare i piedi, di fronte ai silenzi assordanti di chi non alza più la voce per dire “cessate le guerre”, “fermate gli aborti”, “non usate l’eutanasia”, “non abbandonate i poveri”, di fronte ai cenacoli del mondo dove non arde più il fuoco dell’amore, perché c’è solo un uomo consegnato come Gesù al giudizio dei delusi, proprio come Giuda, che purtroppo non è riuscito a farsi lavare i piedi dal Maestro e Signore ed è scappato lontano con il cuore pieno di delusione, di rabbia, con un cuore accecato». Non ci sono scuse, in questo Cenacolo, questa sera, per ignorare l’icona che l’evangelista Giovanni affida a semplici ma impegnative parole: «Vi ho dato l’esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Non ci può essere oggi, questa sera, sacrificio della Pasqua, Eucaristia, che non ispiri e muova i nostri cuori a diventare servi e diaconi dell’amore.