Omelia nella Solennità di San Leone

San Leo (RN), Cattedrale di San Leone, 1° agosto 2025

Gn 12,1-4
Sal 15
Fil 4,4-9
Mt 7,21-27

(da registrazione)

Saluto tutti cordialmente,
in modo particolare il Sindaco e gli Amministratori,
i Capitani di Castello e i responsabili delle Forze dell’Ordine,
Sacerdoti e Religiosi, Diaconi,
e quanti sono qui radunati per celebrare la Solennità di san Leone, fondatore e patrono della nostra Chiesa diocesana.
Perché festeggiare san Leone? Perché festeggiare i nostri santi?
Per affidare loro un desiderio, il desiderio, comune a tutti i cristiani, di rinnovarci e convertirci così come hanno fatto loro, per continuare, oggi, nel solco della loro esperienza, della loro tradizione, del loro esempio, l’opera di evangelizzazione che custodisce in noi il dono della fede che abbiamo ricevuto nel Battesimo, perché, nella custodia del dono del Battesimo – come abbiamo riflettuto, all’inizio dell’anno pastorale, ripartendo dall’incontro con il Risorto in Galilea – continui a crescere il suo popolo, la Chiesa.
Perché è necessario che la Chiesa cresca? Perché c’è bisogno di un segno profetico di speranza, di una Chiesa aperta e sollecitata dalle sfide che i tempi odierni rivolgono alla nostra condizione di cristiani, discepoli di Cristo e del suo Vangelo più che delle nostre idee, perché Cristo è la nostra Pasqua, Cristo è ciò che realizza l’esodo dalla morte alla vita, dalla disperazione alla speranza, dai fallimenti e dalle arrese alla possibilità che sulla sua Parola ci sarà vita, se questa è costruita sulla roccia del Vangelo e non sulla sabbia delle nostre ideologie.
Il cammino di san Leone, come quello dei profeti, come il nostro cammino, di donne e uomini battezzati che si sono lasciati «sedurre e affascinare» dalla Parola di Dio, ha una caratteristica: quella dell’esodo, che è la condizione fondamentale per noi credenti che desideriamo maturare la visione di Dio e percorrere le vie che conducono alla Salvezza, cioè, alla vita eterna. Questo è ciò che manca spesso alla nostra vita di fede: capire che incontrare Gesù e la sua Parola, il Vangelo, nella Chiesa vuol dire per noi desiderare e maturare la sua visione, i suoi sentimenti, la sua prospettiva: non si può essere cristiani rimanendo nelle proprie convinzioni!
La conversione è un cambiamento di mentalità, non per adottare le mentalità di altre culture e di altri uomini, ma quella di Gesù, che è prospettiva salvifica.
Che cosa pensa Dio della storia, dei giovani, di noi? Che cosa vuole Dio per noi? Qual è la volontà di Dio per noi? Che l’uomo sia salvo, che viva, che venga tirato fuori dalla distruzione del peccato. Per poter vivere questa condizione esodale, anche a san Leo Dio chiede, come ad Abramo, di lasciare «la casa di suo padre». A tutti è chiesto di lasciare qualcosa: non si può essere cristiani rimanendo nel circuito corrotto e circoscritto del “mio”. Bisogna lasciare qualcosa per andare oltre i confini di ciò che è familiare, della nostra zona di comfort, di ciò che non ci muove e nel quale ci siamo abituati. È necessario uscire dalla terra per vivere la condizione di «straniero», la condizione di coloro che cercano speranza.
Quando assistiamo agli esodi e alle tragedie degli immigrati, proviamo ad andare oltre la tragedia, chiediamoci perché sono costretti a lasciare la loro terra: non è forse perché cercano speranza? E quale speranza trovano quando sopraggiungono alle rive e agli approdi delle nostre comunità che spesso si sentono derubate, che puntano il dito, che hanno paura? Può una Chiesa che ha paura dare speranza? Può la paura essere il sentimento del cristiano? No. E san Leone questo l’ha vissuto esponendosi alla prima necessità, quella che dalla casa di suo padre, dalla sua terra, giunge a Rimini per trovare lavoro, come fanno tanti nostri giovani, tante nostre famiglie, condizione che dà dignità alla persona, perché possa sopravvivere. San Leone è stato un emigrato, ha vissuto la condizione di straniero; anche noi cristiani dobbiamo essere stranieri, che vivono in questa prima partenza l’esposizione alla novità. Se san Leone fosse rimasto chiuso nelle sue convinzioni non avrebbe incontrato il cristianesimo, non si sarebbe aperto alla novità del Vangelo, non si sarebbe incuriosito alla figura di san Gaudenzio che gli ha permesso di accedere a Cristo e al Battesimo. Forse abbiamo bisogno anche noi di esporci alla novità del Vangelo, che conosciamo, ma a cui ancora non siamo approdati. Questa possibilità di ascolto di una Parola salvifica, in una nuova terra, sarà l’occasione che lo rapirà al desiderio del Regno di Dio. L’incontro con il Signore, vivo e vero, esige sempre una fuga da quei trattenimenti e da quelle sicurezze per giungere a quella conversione pasquale e cristiana, che, come per san Leone, interpella e provoca le nostre sedentarietà. San Leone ha lasciato la sua fede – credeva, probabilmente, in qualche religione prima di arrivare a Rimini –, il suo dio, la sua immagine di Dio, ha abbandonato ogni confinante sicurezza, ma ha incontrato Gesù, il Vangelo della gioia, la Parola della Vita, ha incontrato la Chiesa. Rispetto all’immobilità, non solo degli stranieri, ma anche interne a noi, incontriamo ancora Chiese Sacramento del Risorto, comunità accoglienti che danno speranza o incontriamo porte chiuse? Che tristezza vedere chiese con le porte chiuse, perché abbiamo paura che ci vengano a derubare… Anche noi, forse, dovremmo lasciare, allontanarci dalle nostre “idolatrie”. Spesso non ci rendiamo conto che i trattenimenti e le convinzioni, anche all’interno della Chiesa, determinano nuovi idoli, nuove religioni, che si mascherano con il volto del cristianesimo ma non hanno il sapore del Vangelo, nuove schiavitù che soffochiamo nell’incertezza e nelle paure. Le nostre comunità di fede si appiattiscono, riducendosi a trincee dove non c’è spazio per l’irruzione creativa dello Spirito Santo, dove stagnano le nostre pratiche pastorali, che determinano solo stanchezza, disillusione e rese.
Ricordo il bellissimo incipit di san Giovanni Paolo II, che, per dare slancio alla Chiesa che accoglie nel suo ministero, dice: «Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!», e oggi lo diciamo anche noi nella festa di san Leone: «Non abbiate paura, apriamoci a Gesù, al suo Vangelo, spalanchiamo il nostro cuore! Gesù non ci deluderà».
In questa condizione di scoraggiati e schiacciati, per uscire dalla condizione sterile di una Chiesa invecchiata dobbiamo gridare al Signore, con le parole del Salmo che abbiamo proclamato oggi: «Signore, tu sei la mia parte di eredità e il mio calice, nelle tue mani è la mia vita». Solo questa consapevolezza ci permetterà di “andare via” da una forma di Chiesa incapace di corrispondere alle esigenze di salvezza del mondo odierno: c’è tanta guerra e noi tacciamo, c’è tanta violenza e noi siamo indifferenti, aumentano l’ingiustizia e la povertà e noi ci confiniamo nei recinti assiepati delle nostre sicurezze. Siamo una Chiesa che si chiude in quel monito pastorale deludente e scoraggiante del “si è sempre fatto così”.

A lui, san Leone, e anche a noi oggi, san Paolo direbbe come ha detto ai Filippesi: «Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù». È questa la conversione che ci totalizza in Cristo, ci prende totalmente, al punto tale che, come san Leone e san Marino, anche noi vogliamo fare l’esperienza che segna la conversione, il ritirarsi sul monte Feretrum e sul monte Titano, perché c’è bisogno di non contaminare e sprecare quanto ricevuto e di rimanere centrati e focalizzati sull’amore del Signore, «gioia piena e dolcezza senza fine» (Sal 15). L’eremitaggio non è la fuga dal mondo, ma il desiderio di rimanere in un dono da non sciupare. Ecco che cosa manca a noi, la capacità della contemplazione. Ogni conversione ha bisogno di un animo contemplativo, senza il quale il dono della “chiamata alla vita” si disperde nei rivoli contorti di un cammino senza orientamento – chi non contempla vaga –, senza una direzione, senza Dio, pur essendo abituati ad andare a Messa tutte le domeniche. Le nostre comunità sono in crisi, non perché diamo scandalo, ma perché è in crisi la nostra fede. Non ci ritroviamo per celebrare, pregare e coltivare il dono della fede, ma per mantenere in piedi strutture comunitarie anacronistiche, paranoiche e funzionalistiche; ma a che cosa sono funzionali se non ci fanno incontrare la speranza del Dio Risorto?
La contemplazione è l’eredità che san Leone ci consegna come spazio per costruire la nostra vita cristiana sulla roccia del Vangelo di Cristo. San Leone si è lasciato sospingere dalla «pace di Dio» che è conseguenza di chi si abbandona a Lui e alla sua Parola, ha fatto sì che la logica di Cristo «sorpassasse la sua intelligenza», direbbe san Paolo: quanto bisogno abbiamo, oggi, di rinvigorire il dono dello Spirito Santo e dell’intelletto, non per “capire” tutto, ma per “oltrepassare” i limiti delle nostre capacità e affidarci alle prospettive di speranza che riecheggiano, tra le ferite umane, come urlo di giustizia e di pace.

Miei cari, la Solennità di san Leone ci rinnovi in questo slancio di discepoli e di testimoni della Misericordia di Dio, che, prima di essere annunciata agli altri, diventi esperienza personale di redenti, amati e salvati: sarà la nostra presenza convertita a determinare conseguenze e non le nostre capacità a cambiare la realtà delle nostre comunità, solo così saremo «sale della terra e luce del mondo», «lievito che fa fermentare la pasta della storia» e «seme che porta in sé la potenza del Regno», «luce da esporre nel buio di un’umanità offuscata dal peccato e dalla violenza», ma soprattutto «profezia di una Chiesa» affidabile perché comunità di battezzati che, sinodalmente, segue Cristo, l’unico Maestro.
Nella Cattedrale dedicata a san Leone oggi lo Spirito Santo ci ha convocato per celebrare la Solennità della sua nascita alla vita eterna. Accogliamo l’invito, che ci viene dalla Parola, a costruire la nostra comunità sulla roccia. Ma “quale comunità cristiana”? Quale comunità, “popolo di Dio”, che segue e testimonia il Risorto di fronte alla morte che l’uomo senza Dio continua a seminare nel mondo?

 

Via Felice Cavallotti 7, 47865 San Leo Le Celle, Emilia-Romagna Italia