“Sentinella, quanto resta della notte?” Ovvero dar credito alla speranza

43 anni passati nelle aule scolastiche come docente… prima le aule le ho vissute da studentessa, poi gli anni da catechista, i tanti campi scuola, le giornate da formatrice … quanti volti e quanti giovani ho incontrato! In quei volti ho visto passare la storia e, oserei dire, il mondo. Si perché c’è una data che ha cambiato il mondo, una sorta di nuova “ab urbe condita” e mi riferisco ai tempi del Covid, dal 2019 al 2021/22. Sono anni che hanno modificato radicalmente il mondo dei giovani e non solo quello, hanno cambiato relazioni e il modo di stare al mondo. Lo hanno fatto in silenzio, da predatori, nella notte. Lo abbiamo visto e lo vediamo nei giovani, e la scuola è un osservatorio privilegiato. E se di giovani si vuole parlare da questa data occorre partire e attraversare la lunga notte del Covid. In quel tempo rallentato e solitario i giovani e non solo, hanno visto e vissuto il mondo attraverso la rete senza alcuna mediazione, supporto e controllo. Non abbiamo avuto, come adulti, il coraggio di osare. Siamo il paese dai grandi spazi: campi sportivi, palestre, cattedrali, monumenti a cielo aperto, piazze e ci siamo chiusi in una stanza. Ci siamo inventati scuola, Celebrazioni eucaristiche “a distanza”… già la parola è un ossimoro e così abbiamo perso il senso della prossimità e della comunità. Un nuovo codice comunicativo è entrato prepotentemente nelle vite dei ragazzi e non solo, sono aumentati i leoni da tastiera e le relazioni “truccate” insieme a paure e fragilità. La morte è accaduta lontano, finita dentro sacchi neri, ci siamo abituati a non accompagnare e con tutto questo dobbiamo farci i conti. Si, perché i giovani che vedo hanno tratti diversi da prima. Per cambiare rotta occorre analizzare questi dati e così provo a raccontarli consapevole che non sono i sani ad aver bisogno del medico”, ma una comunità che si dice cristiana, nel progettare i suoi interventi, non può e non deve lasciare indietro nessuno. Tradirebbe la sua ragion d’essere.
Sono giovani sull’orlo del burnout, come indicano le ultime ricerche del Censis e dell’Organizzazione mondiale della sanità; non riescono a gestire lo stress, un “no”, un insuccesso anche scolastico, fanno fatica ad orientarsi, spesso si costruiscono un avatar che soddisfa ogni loro performance. Vivono online, la discussione e il confronto sono stati sostituiti da un like, da una emoticon. Particolarmente allarmante è la crescita di quella che viene definita la manosfera, un ecosistema online che promuove ideologie maschiliste, con un linguaggio fortemente discriminatorio e violento in grado di attirare adolescenti vulnerabili. Consapevolmente, diciamolo una buona volta, si sono costruiti una “confort zone” a loro uso e consumo. La serie Netflix, dal titolo Adolescence, racconta molto bene questo nuovo scenario del mondo giovanile.
Di chi è la responsabilità? Da una parte ci sono gli adulti: i comportamenti, le scelte politiche, economiche, sociali favoriscono questo terreno e il dato della denatalità ci dice che il terreno è sterile! Dall’altro ci sono loro, i giovani. È giunto il momento per loro di osare, perché i padri, molto spesso, non sono più in grado di accompagnarli, ed è la prima volta nella storia dell’umanità!

E allora come coltivare la speranza, come attendere l’aurora? Dobbiamo fare come la sentinella di cui parla il profeta Isaia; la sua risposta non è definitiva, ma apre al dialogo e alla ricerca, invita a continuare a domandarsi. Mi permetto allora, alcuni suggerimenti.
Ai giovani: svegliatevi, riprendete in mano il vostro presente, il vostro “qui”, riempitelo di incontri, esperienze, letture, studiate, innamoratevi della bellezza. Alzate lo sguardo. Siate esploratori e capitani coraggiosi. Lasciate il cellulare nel cassetto!
Agli adulti, soprattutto alle famiglie che hanno scelto o sceglieranno di celebrare il matrimonio in chiesa, invitando Gesù alle loro nozze: riprendete in mano la vostra responsabilità educativa, dite “no” senza cedere a ricatti e compromessi, non costruite intorno ai figli un Grand Hotel domestico, insegnate loro l’attesa, la fatica, la gestione delle frustrazioni senza medicalizzare tutto, pregate insieme, fate vedere la bellezza del vostro amore, del vostro parlare, perdonare, accogliere. Apriteli al mondo.
Ai parroci: adoperiamoci a rendere visibile la bellezza della Celebrazione eucaristica, soprattutto quella domenicale, dalla cura della casa alla cura per l’annuncio della Parola, l’omelia deve parlare ad una comunità, deve inquietare, toccare, interrogare. Sfruttiamo ogni occasione per tornare ad evangelizzare; feste, incontri, battesimi, comunioni, cresime, funerali. Inventiamoci occasioni di prossimità.
A noi cristiani: torniamo a farci riconoscere nel mondo per condotta morale, attenzione, preparazione, accoglienza autentica come era da principio. Usciamo dalle nostre case, riponiamo anche noi i cellulari. Torniamo a riempire le nostre piazze e le nostre chiese. Gli Atti degli apostoli e la Lettera a Diogneto potrebbero aiutarci.
Sono piccoli segni, ma da qualche parte dobbiamo pur iniziare senza perdere tempo, pronti a rispondere alla domanda che Paolo poneva ai Corinzi: Riconoscete che Cristo abita in voi, si o no?” e sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in noi. Una speranza legata alla fede, fondamento della fede stessa… ma allora sarà anche un’altra la domanda che dobbiamo porci?
Buon lavoro a tutti noi.

Anna Grazia Mandrelli

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