Missioni ai confini dell’umanità: la pace passa da qui!

In un’epoca segnata da conflitti che attraversano continenti e coscienze, la pace non può rimanere solo un’aspirazione o un’invocazione. Deve farsi strada concreta, scelta quotidiana, missione di vita. Per questo abbiamo voluto incontrare due testimoni che, pur su fronti diversi, dedicano la loro esistenza a costruire ponti dove altri alzano muri, a salvare vite dove altri seminano morte, a seminare speranza dove dilaga la rassegnazione.
Don Mattia Ferrari e Laila Simoncelli rappresentano due volti della stessa medaglia: la pace che si fa carne e sangue, che si sporca le mani nel Mediterraneo e che si batte nelle istituzioni, che accoglie chi fugge dalla guerra e che lavora perché le guerre non ci siano più. Le loro parole ci aiutano a capire che la pace non è un sogno impossibile, ma una responsabilità condivisa che inizia da ciascuno di noi.

Don Mattia Ferrari è un sacerdote impegnato con Mediterranea Saving Humans, organizzazione umanitaria che opera nel soccorso in mare dei migranti nel Mediterraneo. La sua missione si svolge letteralmente “ai confini dell’umanità”, dove il diritto alla vita si scontra con l’indifferenza e dove la solidarietà diventa gesto profetico di un mondo possibile.

Laila Simoncelli è coordinatrice della campagna per l’istituzione del Ministero della Pace in Italia, promossa dall’Associazione Papa Giovanni XIII assieme ad altre associazioni, enti e movimenti territoriali e nazionali. Il suo impegno mira a trasformare la cultura della pace da ideale a struttura istituzionale, lavorando perché la pace abbia finalmente una casa nelle istituzioni del nostro Paese e strumenti concreti per realizzarsi.

Cosa significa “pace” per voi?

Laila Simoncelli: la pace è un progetto di democrazia. La pace è nonviolenza: il coraggio di scegliere la Vita ogni giorno, anche quando il mondo sembra preferire la violenza. La pace è la mano tesa al vicino, l’ascolto prima del giudizio, la costruzione di comunità invece che di muri. È un seme vivo che cresce nelle parole di giustizia, nei gesti di solidarietà, nelle scelte – personali, collettive, nazionali ed internazionali – che mettono al centro la dignità di ogni uomo e donna. La pace è anche già esperienza concreta di tante persone, di tanti cittadini. È profezia, perché sfida l’indifferenza. È forza reale, forza politica, perché sa trasformare la rabbia in dialogo, il conflitto in riconciliazione, e la distanza in cura.

Mattia Ferrari: per comprendere meglio cosa sia la pace dobbiamo pensare al termine biblico per indicarla: “shalom”. La pace è armonia, è fraternità. Non è semplicemente assenza di guerra, ma pienezza di bene.

Come si opera per la pace?

Laila: operare per la pace significa agire con metodo nonviolento in ogni ambito della vita: personale, comunitario e politico. È per me un impegno quotidiano e collettivo che si trasforma sempre in progetto di fraternità. L’antigene della nonviolenza come vaccino alla guerra è già attivo in tante esperienze (educazione alla pace, disarmo, interposizione nei conflitti, imprenditoria warfree etc.) e produce Bellezza. Diventa politica della pace. Questo è ciò che stiamo costruendo anche con la Campagna per il Ministero della Pace: oggi è una richiesta collettiva, sostenuta da cittadini, scuole, Comuni e parlamentari, di dotare l’Italia di un’istituzione che metta la pace al centro, obiettivo reale della politica nazionale e internazionale.

Mattia: il profeta Isaia, ripreso dalla “Gaudium et spes”, afferma che la pace è opera della giustizia. Si costruisce la pace lavorando per la giustizia. La pace non è mai raggiunta una volta per sempre, va costruita continuamente, lavorando per la giustizia e per la fraternità. Significa lavorare incessantemente per costruire relazioni vere, giuste, fraterne, ovunque: nelle famiglie, nelle comunità, nei Paesi e tra i popoli.

Si parla tanto di pace, si desidera tanto la pace, ma intanto facciamo la guerra, Papa Francesco l’ha definita la terza guerra mondiale a pezzi: perché secondo voi?

Laila: viviamo in un mondo dove la necropolitica e la logica del profitto, che genera disuguaglianze, povertà e conflitti, prevale irrazionalmente sulla logica della vita e della fraternità. Ancora oggi ci facciamo la guerra perché la violenza è diventata un riflesso culturale indotto, più facile della cooperazione, ma distruttivo di Umanità. La pace richiede educazione, coraggio, visione e pazienza: è più difficile, richiede ascolto, mediazione e scelte quotidiane, ma fare la pace non è essere solo più buoni significa essere più intelligenti. La Storia passata e attuale, con record di spese militari e guerre, ci dimostra che la sicurezza militare ha fallito e non è stata in grado di condurci al benessere di popoli ed individui. La guerra è una costruzione umana, e persiste, perché non abbiamo ancora reso la pace strutturale, strategica e radicata nella vita politica e sociale. Dobbiamo investire sulla sicurezza umana al posto di quella bellica.

Mattia: perché ci siamo dimenticati cosa sia la pace. È emblematica la storia di Mohamed, un giovane originario del Sudan che desiderava la pace. Ha dovuto lasciare il suo paese per la guerra e per la crisi ecologica. Ha attraversato le rotte del deserto, della Libia e della Tunisia. Ha dovuto imbarcarsi, perché non aveva alternative. Hanno fatto naufragio. Era il febbraio 2024. Il suo sogno era costruire la pace. Nel suo ultimo post su Facebook, pubblicato prima di imbarcarsi, ha scritto: “How can we build peace if we don’t understand it?”. Ha ragione. Come possiamo costruire la pace, se non la comprendiamo? Continuiamo a respingere i migranti, dimenticandoci che, come diceva Papa Francesco, respingere i poveri significa respingere la pace. Proprio grazie alla relazione con loro possiamo riscoprire cosa significa veramente costruire la pace.

Viviamo in una società globale, interconnessa e estremamente avanzata: che mondo è il nostro? Come guardarlo con gli occhi “giusti”?

Laila: il nostro mondo è straordinario ma fragile. La tecnologia e la globalizzazione ci permettono di conoscere le ingiustizie e le sofferenze ovunque, ma nascondono il pericolo di trasformare tragedie reali in “contenuti” che scorriamo velocemente, con il rischio di percepirle come qualcosa di astratto, lontano, quasi irreale e anestetizzando la nostra Umanità. Guardare il mondo con occhi giusti significa trasformare ogni tragedia che ci raggiunge, da uno schermo in un incontro: darle un volto e un nome, affinché smetta di essere lontana e diventi parte della nostra umanità. Riconoscere l’umanità in ogni persona, comprendere le ingiustizie e le sofferenze che generano conflitti, e trasformare questa consapevolezza in azione concreta. È farsi protagonisti del cambiamento, trasformando la consapevolezza in responsabilità condivisa, e imparare a leggere la storia e gli eventi non dalla parte di chi imbraccia il fucile, ma dalla parte di chi, ha la canna di quel fucile puntata contro.

Mattia: è un mondo in cui si fa sempre più strada l’individualismo, che spesso significa indifferenza, menefreghismo. Ci disinteressiamo del fatto che le ingiustizie sono strutturali e che siamo direttamente coinvolti nelle ingiustizie verso gli scartati e gli oppressi. E ci disinteressiamo di chi soffre. Abbiamo dimenticato la fraternità, che è il dato costitutivo della nostra umanità. Per avere gli occhi giusti, che per noi cristiani significa avere lo sguardo di Gesù, dobbiamo prenderci per mano con gli scartati e gli oppressi, ascoltarli.

Siamo nel tempo della speranza: c’è ancora speranza di pace secondo voi? Come portare avanti questa speranza?

Laila: credo che la speranza non sia un sogno lontano, ma un atto quotidiano e coraggioso. Significa accendere una luce dove c’è oscurità, tendere la mano dove regna l’indifferenza, scegliere la giustizia dove impera l’ingiustizia. Per me portare avanti la speranza è trasformare la consapevolezza delle sofferenze in gesti di cura e solidarietà, partecipare attivamente alla vita della comunità e della politica, contribuire a costruire leggi e istituzioni che custodiscano la pace. Rivendicare e ridare dignità alla Pace! Non c’è nessuno che non possa fare qualcosa. Tra il nero della rassegnazione e il bianco illusorio dell’onnipotenza, esiste uno spazio infinito di azione: lì, ciascuno può diventare custode di speranza. Dobbiamo investire sulla sicurezza umana al posto di quella bellica. L’assenza di un Ministero della Pace nelle democrazie moderne è il segno di un’assenza più profonda: abbiamo dimenticato che l’uomo è fatto per la pace, e che costruirla non è utopia, ma responsabilità. Ciononostante ogni gesto nonviolento, ogni iniziativa di dialogo e solidarietà dimostra che un’alternativa è possibile. Ciò che esiste è possibile! È compito nostro trasformare l’impegno individuale e collettivo in leggi, politiche e istituzioni, che rendano la guerra sempre meno “necessaria” e la pace una realtà concreta.

Mattia: la speranza c’è, perché per noi cristiani la speranza è la Croce. Gesù ha portato nel mondo l’amore di Dio e il male del mondo si è quindi scaraventato su di lui. Gesù è risorto non perché fosse un supereroe, ma perché l’amore di Dio è più forte del male. Per questo la Croce, che era il simbolo della sconfitta dell’amore, diventa il simbolo della speranza, perché l’amore vince. Per questo c’è sempre speranza, perché l’amore vince e la dinamica pasquale continua a ripetersi nella storia. L’amore che Gesù ha portato continua a soffiare nel mondo grazie allo Spirito Santo, dono del Risorto, che ispira i cuori di tutti gli esseri umani che si aprono all’amore, credenti o non credenti che siano.

Voi siete missionari di pace ai confini dell’umanità e ci portate un esempio importante: come si fa nella vita di tutti i giorni ad essere testimoni e missionari di pace?

Laila: personalmente cerco ogni giorno di scegliere di non chiudere gli occhi davanti alla violenza, di non lasciarmi sopraffare dalla paura o dall’indifferenza; di convertirmi alla nonviolenza provando ad entrare anche nei luoghi più duri, dove la guerra e l’ingiustizia sembrano spegnere la dignità delle persone, cercando di testimoniare e creare piccoli spazi di umanità, di ascolto e di solidarietà, pronta anche a pagarne il prezzo di persona. Cerco, nel mio limite, di trasformare il dolore mio e del prossimo in gesti di cura. Ogni gesto conta. Ogni piccolo seme di giustizia, se accolto, può germogliare e far crescere comunità, speranza, mondi nuovi e ricordiamoci sempre che il bene resta. Ogni gesto di amore, per quanto piccolo, lascia un’impronta indelebile che nessuna violenza potrà cancellare. Come scriveva Pavel Florenskij: “La forza del Bene e della Bellezza esiste non meno della forza di gravità o di quella magnetica”.

Mattia: aprendo il cuore all’amore e coltivando le relazioni di fraternità con le persone scartate o oppresse. Da queste relazioni inizia a nascere un mondo nuovo, che cresce sempre di più. In queste relazioni si vive quell’amore evangelico che dà la forza per cambiare il mondo. Quelle relazioni sono il motore di Mediterranea e di tutte le realtà che costruiscono un altro mondo possibile. Per noi credenti poi la Parola di Dio e i sacramenti sono la via con cui facciamo un’esperienza speciale di Gesù, che alimenta il nostro impegno. Ogni via per incontrare Gesù, che possiamo riassumere nelle 3 P, la Parola, il Pane (l’Eucaristia) e i Poveri, è il motore della civiltà dell’amore.

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