Essere Chiesa significa essere missione per farsi vicini a ogni persona, agli ultimi. È questo il paradigma dell’agire di padre Corrado Masini, missionario comboniano nato a Sant’Agata Feltria ottant’anni fa. Ordinato sacerdote nel 1970 per cinque anni ha vissuto la missione lavorando per le vocazioni missionarie. Ha collaborato con don Erminio Gatti, all’epoca responsabile dell’Ufficio Missionario, visitando le parrocchie della nostra Diocesi invitandole a vivere la missione qui in Italia. Il 9 gennaio 1976 è diventato missionario a Shafinna, Sud Etiopia, tra il popolo Sidamo. La missione di Shafinna all’inizio, nel 1970, contava solo 360 cattolici. In pochi anni la comunità cristiana ha raggiunto 18.000 cattolici. Ha lavorato in diverse missioni in Etiopia, fino a qualche mese fa. Lo abbiamo intervistato.
Padre Corrado, cosa significa oggi “essere missionari” rispetto al modello tradizionale che per decenni ha segnato l’azione della Chiesa nei paesi lontani?
La missione è globale, non più geografica. La missione della Chiesa non è più a direzione unica da Nord a Sud, ma il movimento della missione è anche inverso da Sud a Nord. Un tempo erano i missionari che, mandati ed aiutati dalla Chiesa, andavano nei paesi da evangelizzare. Ora vediamo che tutta la Chiesa è missionaria e deve vivere la missione. Ora parliamo di Chiesa in uscita, poiché a tutta la Chiesa è mandata. Essere Chiesa vuol dire andare, vuol dire essere missione. La Chiesa esce per farsi vicina ad ogni persona sotto il cielo. Il mandato di Gesù “Andate” non è più meramente spostarsi, ma uscire da se stessi, dalle nostre chiusure per accettare le sfide del mondo e annunciare l’amore di Dio. La Chiesa, per essere tale, è missionaria. È profondamente vero che missione non è ciò che si fa, ma ciò che si è. Non è quindi solo servizio temporaneo, ma è vita: “Io sono missione”. La missione ci fa vedere l’altro con gli occhi e il cuore di Gesù. Dove c’è Gesù ci sono anche i poveri e dove ci sono i poveri c’è Gesù… ricordiamo “l’avete fatto a me”.
Con la globalizzazione le distanze si accorciano e le informazioni viaggiano in tempo reale. Come cambia il modo di annunciare il Vangelo?
È chiaro che non possiamo più rimanere tranquilli, in attesa passiva, dentro le nostre chiese… è necessario passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria. Il mondo della comunicazione è un impegno da vivere, da evangelizzare. La comunicazione con televisione, cellulari, Internet che rende noto tutto quello che capita ed influenza la perdita di valori, ha suscitato nella nostra Conferenza Episcopale la necessità di farsi sentire e ascoltare nella Etiopia di oggi. È stato dato avvio alla Televisione Cattolica, ancora bambina ma che ha i suoi ascoltatori. Ogni Chiesa ormai ha posto interesse nel mondo dei mass media come mezzo di evangelizzazione.
Qual è il profilo del “nuovo missionario”? Che tipo di preparazione, spirituale ma anche culturale, è necessaria secondo lei per affrontare le sfide attuali?
Il missionario è una persona che vive la gioia del Vangelo. Vive capace di leggere la vita e la storia alla luce della fede e assume un nuovo stile di vita e di comunione, fondato su scelte evangeliche. Una spiritualità basata sulla Parola di Dio ascoltata, vissuta, celebrata e annunciata. Parola che ci guarisce e umanizza, capace di integrare la nostra e altrui umanità con i suoi limiti. Il missionario è chiamato a fare il bene, sempre il bene, il bene ovunque vada al di là di ogni preferenza. Deve avere una conoscenza di sé. È l’identità, la coscienza di sé che lo rende capace di relazionarsi con gli altri, di vivere l’amore che lo rende gioioso nel donarsi liberamente. Allo stesso tempo è capace di apprezzare l’altro, di accogliere la diversità e avere l’umiltà di imparare dall’altro. La missione è una scuola, un percorso di crescita personale nell’incontro con diverse culture.
Come può la missione oggi dialogare con contesti segnati da pluralismo religioso, secolarizzazione e, a volte, ostilità verso la fede cristiana?
Posso dire solo che il dialogo fraterno è l’unica via per vivere la pace. Il dialogo è possibile, un mondo fraterno è possibile. Ho solo l’esperienza in Etiopia, ma ho constatato che nonostante le diverse nazionalità e differenze il dialogo è possibile. Viviamo una Chiesa che vive l’ecumenismo e il dialogo interreligioso a partire dalla vita. Siamo cattolici, copti protestanti, musulmani, viviamo la missione anche come impegno di dialogo ecumenico e interreligioso. Diverse fedi, diverse nazionalità, ci ritroviamo fratelli nell’aiuto nella collaborazione, nel condividere le emergenze sociali. L’Etiopia è povera, ma capace ad accogliere rifugiati – attualmente quasi 1 milione – provenienti soprattutto da Sud Sudan, Somalia, Eritrea e Sudan e deve dare risposte a circa 3,5 milioni di etiopi sfollati interni.
Quali speranze e quali rischi vede per il futuro della missione della Chiesa? E quali messaggi sente di rivolgere ai giovani che si interrogano sulla possibilità di una vocazione missionaria?
Tanti hanno una visione pessimistica. È vero che in più di un paese dell’Europa il cristianesimo è stato spinto verso il basso. La fede è diventata marginale nella costruzione della società, ed è necessaria una bella spinta nella promozione di valori prettamente umani. Le speranze ci sono. Piccole luci e grandi fari come i santi Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis; l’entusiasmo di tanti giovani per Gesù e la missione; i tanti laici impegnati nella missione, in patria e fuori; le vocazioni sacerdotali nelle Chiese del sud del mondo; un desiderio di pace e fratellanza che opera come lievito; cristiani “chiamati a formarsi per diventare artigiani di speranza e restauratori di una umanità spesso distratta e infelice”.
Non posso dimenticare il mandato che i giovani Sidamo mi hanno dato per voi, giovani che credono nel futuro, si impegnano, sognano un paese migliore e lavorano per questo. “Di’ ai tuoi amici giovani che ora noi, anche se poveri, anche se abbiamo tante difficoltà, siamo come loro. Con internet abbiamo conoscenza dei loro problemi, della situazione di questo mondo ammalato. Condividiamo i loro desideri ed aspirazioni di pace ed amicizia, come tu ci hai insegnato. Il cammino è lo stesso, continuiamo a camminare insieme”. Effettivamente l’accesso ad internet e mass media li ha resi coscienti della loro povertà, ma anche delle loro possibilità, e la speranza li sostiene ogni giorno. È vero che esiste la povertà, ma esiste un sogno: il desiderio di un mondo migliore, di una Etiopia diversa. È bello camminare e sognare con loro.
Antonio Fabbri
