Detenzione e rieducazione

Intervista a Eliana Onofrio

Quale è il senso della detenzione se non mira alla rieducazione? Quale il profondo significato della frase di Gesù “ero carcerato e mi avete visitato?”. Camminare insieme a chi ha sbagliato riconoscendo che l’uomo non è il suo errore; essere a fianco di chi cade per aiutarlo a rialzarsi. Un cammino non facile, anzi, una navigazione in un mare spesso in tempesta, fatto di difficoltà, di scetticismo, di pregiudizi. Una navigazione che l’associazione “Amici della Nave” porta avanti da ormai sette anni. Un lavoro, una testimonianza che anche la nostra Diocesi ha avuto recentemente, a Maciano, l’opportunità di conoscere. Abbiamo intervistato Eliana Onofrio, presidente dell’associazione.

Può raccontarci com’è nata l’associazione “Amici della Nave”, il significato di questo nome e qual è stata la motivazione iniziale dietro la sua fondazione?
L’Associazione Amici della Nave OdV – ente di Terzo settore – è stata fondata nel 2018 da un gruppo di operatori e volontari impegnati da più di vent’anni anni nel reparto La Nave della Casa circondariale di San Vittore a Milano.
La Nave è un reparto dedicato alla cura dei detenuti-pazienti con problemi di dipendenza, motivati a intraprendere un percorso di cambiamento in un contesto di cura. Il Reparto, guidato dalla dott.ssa Giuliana Negri, fa parte del Servizio Dipendenze Area Penale e Penitenziaria della ASST Santi Paolo e Carlo di Milano.

Quali sono oggi le principali attività e i progetti che portate avanti all’interno delle carceri e anche fuori?

Tra le attività promosse dai nostri volontari dentro il reparto La Nave – oltre a quelle terapeutiche e trattamentali condotte dagli operatori professionisti Asst – vi sono la redazione del periodico L’Oblò, diretto dal 2002 dal giornalista e volontario Renato Pezzini, che raccoglie articoli e riflessioni dei detenuti ospitati al Reparto e viene distribuito gratuitamente da Feltrinelli; il Coro, corsi di educazione alla legalità, pratiche sportive, formazione al lavoro, laboratori di scrittura, di lettura, di serigrafia.
Cerchiamo poi di rendere più dignitosa la detenzione. Quest’anno, ad esempio, abbiamo fornito ai detenuti del Reparto prodotti per l’igiene personale, abbigliamento, detersivi, materiale per imbiancare le celle e gli spazi comuni, tende per le docce, ventilatori per l’estate, occhiali da vista, caffè, dolci per le feste di Natale e Pasqua: tutte cose che si direbbero “scontate”, ma che in carcere non ci sono.
Quanto al «fuori», cerchiamo di sostenere il percorso di cura e trattamento che i detenuti-pazienti intraprendono «dentro», anche offrendo possibilità di lavoro ed esperienze collettive sportive. Ma anche di promuovere tra i cittadini una sensibilità su questi temi, nella convinzione che l’integrazione e lo scambio rappresentino un arricchimento reciproco.
Particolare rilievo, a questo fine, assume il canto corale. All’interno del reparto La Nave esiste da svariati anni il Coro La Nave di San Vittore costituito da detenuti-pazienti, operatori e volontari esterni che fa parte di un processo di cura, riabilitazione e inclusione. Allo stesso spirito fa riferimento il Coro Amici della Nave di San Vittore, nato nel 2019 come prosecuzione esterna dell’attività, composto da ex detenuti, pazienti del SerD della ASST Santi Paolo e Carlo, volontari e semplici cittadini. L’integrazione tra realtà diverse fa del coro un momento altamente formativo, fatto di pazienza, impegno, disciplina, ascolto reciproco, gratificazione per il risultato raggiunto. Direttore di entrambi i Cori è Paolo Foschini, storico volontario del Reparto e colonna portante dell’Associazione.

L’uomo non è il suo errore, ma lo stigma che l’errore porta con sé è sempre superabile?

L’uomo non coincide con il suo errore e lo stigma può e deve essere superato attraverso percorsi condivisi di cura, educazione e cultura. Questo è il punto di partenza per superare i principali ostacoli che si incontrano quando si esce dal carcere: trovare un lavoro e ottenere o rifare i propri documenti. Dopo il lavoro, trovare una casa in affitto per chi non ha una famiglia. Insomma, le cose basilari che consentono una vita normale. Queste cose, intendiamoci, non riguardano soltanto l’interesse della singola persona che torna in libertà, ma sono la premessa per costruire una società più sicura per tutti.

In che modo la cultura e il teatro diventano strumenti di cambiamento per le persone detenute?

L’educazione, la cultura e il teatro vengono utilizzati come strumenti di reintegrazione: raccontare storie, scrivere testi e cantare insieme sviluppa consapevolezza, fiducia e motivazione al cambiamento interiore. Ne è esempio il progetto de La Passione, dove arte e racconto personale contribuiscono al riscatto umano. Naturalmente queste cose non sono sufficienti per ricostruirsi una vita nei termini di cui abbiamo detto sopra ma sono fondamentali per accenderne il desiderio. E questo, volendo, è ciò che si chiama speranza.

Che tipo di collaborazione esiste tra l’associazione, le istituzioni penitenziarie e la comunità esterna?

La nostra associazione collabora regolarmente con varie istituzioni. Sul «dentro», la direzione di San Vittore, l’equipe trattamentale della ASST Santi Paolo e Carlo, gli educatori del carcere, la polizia penitenziaria. Ma anche il Politecnico di Milano e Rilegno per il ripensamento di alcune aree comuni e la realizzazione di manufatti. Sul «fuori», principalmente il SerD della medesima ASST e la magistratura. L’associazione ha collaborato e/o collabora anche con numerose altre istituzioni o realtà: gli Artisti del Coro de La Scala di Milano e de La Fenice di Venezia, il CPM di Franco Mussida, cori e orchestre prestigiose fra cui, in particolare, la Antiqua Estensis di Ferrara e, proprio da voi in Romagna, i Cori Voci liriche di Misano Adriatico e Carla Amori di Rimini. Ma anche enti ecclesiastici, fondazioni, realtà teatrali, realtà sociali quali la Banda Rulli Frulli e l’Orchestra AllegroModerato nell’ambito della Milano Civil Week. Lo scopo è favorire scambi culturali e concerti pubblici gratuiti.
Tra le iniziative culturali promosse dall’Associazione ricordiamo la mostra-evento Ti Porto in prigione alla Triennale di Milano; il docufilm EXIT presentato a Venezia nel 2021 durante la 78a Mostra internazionale di Arte Cinematografica; il progetto La Passione realizzato la prima volta nel 2023 con Artisti del Teatro alla Scala di Milano e del Teatro La Fenice di Venezia, assieme a Franco Mussida, nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, e successivamente riproposto sia a Maciano di Pennabilli al Convento di Santa Maria dell’Olivo sia a Ferrara.

Quali sono le difficoltà e le sfide più grandi che avete incontrato nel portare avanti questo lavoro, e come le avete affrontate?

Le difficoltà riguardano sia il «dentro» sia il «fuori». In carcere manca tutto, nonostante il grande impegno del personale e della polizia penitenziaria. Le condizioni di sovraffollamento rendono la detenzione simile ad un viaggio senza speranza. Di qui, l’incremento dei suicidi.
Fuori, la diffidenza verso una persona che ha avuto precedenti penali è ancora altissima. La nostra sfida è proprio questa: sensibilizzare le persone su questi temi e favorire il reinserimento sociale e lavorativo di chi ha “inciampato” ma ha deciso di rialzarsi.

C’è una storia o un’esperienza particolare che l’ha colpita e che può condividere con noi?

Nel febbraio 2025, in occasione del Giubileo, i nostri due Cori, quello dentro e quello fuori San Vittore, erano stati invitati a esibirsi davanti a Papa Francesco a Cinecittà, occasione in cui la musica e l’arte avrebbero dimostrato di essere strumenti di inclusione e riabilitazione. Sarebbe stata un’opportunità straordinaria di riconoscimento e dignità. Ma il giorno prima di partire, la notizia del ricovero del Papa e il conseguente annullamento dell’evento. Un colpo al cuore per tutti, in particolare per i ragazzi detenuti che hanno descritto in maniera toccante le loro emozioni in alcune lettere, inviate al Papa.
Particolarmente significativa è stata poi la duplice esperienza al Convento di Santa Maria dell’Olivo a Maciano che, grazie all’iniziativa di padre Raffaele Talmelli, ha rappresentato un momento di incontro non solo tra realtà artistiche come quelle che ho citato prima, ma con la comunità e le persone del posto che ci hanno accolto con il calore che si riserva agli amici e ai familiari.

Guardando al futuro, quali sono i progetti o i sogni che “Amici della Nave” spera di realizzare?

Stiamo realizzando la costituzione di una squadra di calcio a 7 che si chiama “Football Chance” ed è composta da ex detenuti e pazienti SerD. Abbiamo già fatto alcune partite di presentazione e in autunno ci iscriveremo al nostro primo torneo. Continueremo sicuramente a organizzare altri concerti, il primo dei quali sarà il 3 ottobre a favore dell’Associazione L’Abilità che ospita e cura bambini con disabilità gravissime. Contiamo poi di sviluppare sempre più le attività che già portiamo avanti.
Il grande sogno è quello di aprire un giorno una grande sede e una comunità come luoghi di incontro, scambio e accoglienza.

A cura di Antonio Fabbri

condividi su